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L’ombra della belva


Il piccolo Daniel era accovacciato a terra, tremante, e fissava la minacciosa ombra, stagliata di profilo contro il muro, che ostentava ringhiante i mostruosi canini.

Solo una esile coperta lo proteggeva dal freddo e dai pericoli del mondo; singhiozzava, tremava, il suo sguardo non poteva fare a meno di rimanere incollato a quell’immagine scura.

Aveva paura, tanta paura.

L’ombra sembrava prendersi gioco di lui: ora diventava più grande, ora si ridimensionava danzando un’inquietante balletto al suono dei vividi raggi lunari che gliela proiettavano dinnanzi; l’ambiguità confusa della forma era ciò che più lo spaventava del mostro: il minaccioso verso animale pareva non lasciare scampo, ma l’aspetto del nemico era pressoché sconosciuto.

Gli occhi del bambino si muovevano frenetici a destra e sinistra, i suoi muscoli erano tesi allo spasmo; sentiva che era solo questione di attimi: l’attacco sarebbe stato sferrato di lì a poco, presto avrebbe dovuto iniziare a correre, correre il più forte possibile.

Sapeva che se avesse iniziato la fuga di sua iniziativa avrebbe solo anticipato la mossa della belva, e non ebbe il coraggio di farlo: non si prese quella responsabilità.

Restava un piccolo spiraglio di salvezza: avrebbe forse potuto arrampicarsi sull’albero immediatamente fuori dalla finestra che si trovava alle sue spalle, aperta sul buio della notte.

Fu mentre elaborava questa ipotesi che accadde.

La scena si consumò in un’attimo, ma Daniel la percepì al rallentatore: l’ombra si girò, il profilo dell’animale si ammorbidì in un’indistinta forma tondeggiante dalla superficie irsuta, divenendo nel contempo più grande e oscillando verso l’alto l’alto e il basso; la fiera si stava avvicinando a rapidi balzi!

I muscoli agirono per lui: voltò le spalle al muro, e così pure a quell’ombra che diveniva sempre più grande, e fece un balzo al di là della finestra, gettandosi senza scampo fra le fauci del mostro che incedeva rapido e famelico.

Avrebbe forse potuto salvarsi, se non fosse caduto vittima dell’illusione; aveva indirizzato la sua paura nella direzione sbagliata: non era l’ombra che doveva temere; forse sarebbe bastato chiudere la finestra.

~ ° ~ ° ~

Caro amico, la tua paura è preziosa, se un giorno potrai sferrare l’attacco o darti alla fuga sarà soprattutto grazie a lei; considerala una valida alleata, è parte di te ed è anche merito suo se oggi sei qui, vivo e vegeto.

Abbi però l’accortezza di indirizzarla verso un pericolo concreto: Il virus esiste, è reale: guardati da lui, non dalle ombre che i cosiddetti mezzi di (dis)informazione di massa continuano a mostrarti.

Potresti fuggire nella direzione sbagliata.

La supercompensazione


Non ci vuole un luminare della scienza per capirlo, è una semplice regola di buon senso: ciò che non si usa non serve e si può eliminare, ciò che si usa serve e va potenziato.

Un banale meccanismo di economia funzionale.

Questo meccanismo è alla base di molti sistemi complessi che conosco, in particolare del corpo umano: su di esso si fondano i principi dell’allenamento.

Durante una intensa attività fisica le risorse dell’organismo vengono consumate, e la sua struttura danneggiata; durante la fase di riposo, che è la più importante in ogni sessione di allenamento, il corpo ripristina le risorse che si sono indebolite ma, attenzione, le riporta ad un livello maggiore di quello iniziale: come a dire, stavolta mi hanno colto impreparato, ma la prossima volta non mi fregano!

Questo processo è chiamato supercompensazione e permette di sviluppare quelle potenzialità che vengono maggiormente richieste: è un triviale processo di adattamento finalizzato alla sopravvivenza.

Ora, se ciò è vero per un muscolo, non vedo perché non dovrebbe esserlo in generale con ogni tipo di risorsa dell’organismo. Allora mi guardo attorno e mi chiedo: quanto ci stiamo allenando?

Per fare qualche piano prendiamo l’ascensore o le scale mobili, per fare qualche chilometro prendiamo l’automobile: il sistema motorio viene usato a minimo regime.

Quando fa caldo accendiamo l’aria condizionata e quando fa freddo il riscaldamento: la capacità di termoregolazione viene usata a minimo regime.

Quando abbiamo un problema tecnico chiediamo subito aiuto a chi ne sa di più: le abilità di problem solving vengono usate a minimo regime.

Quando abbiamo un dolore prendiamo subito un analgesico: la capacità di sopportazione viene usata a minimo regime.

Contrastiamo il buio della notte con le luci della città: la capacità di adattamento ai ritmi stagionali viene usata a minimo regime.

Quando ci ammaliamo prendiamo subito l’antibiotico: il sistema immunitario viene usato a minimo regime.

Ci affidiamo mansueti al tranquillizzante fascino delle compagnie di assicurazione: la capacità di rischiare viene usata a minimo regime.

Teniamo costantemente un occhio alle previsioni meteo, pianifichiamo accuratamente il futuro, in mancanza di meglio ci affidiamo agli oroscopi: la capacità di stare nella frustrazione dell’incertezza viene usata a minimo regime.

Praticamente, quella che chiamiamo società del benessere ha preso una bella pialla e ha smussato ogni angolo, ha abbattuto ogni oscillazione; e poi ci lamentiamo di avere una vita piatta (e non parlo di addominali).

Non ci facciamo più carico di alcuna difficoltà, tutto è demandato all’esterno.

Poi improvvisamente arriva la pandemia, ed è subito panico, paura di morire. Perché stavolta all’esterno non c’è nessuno che sappia come aiutarci: là fuori sono incasinati quanto noi.

Allora sì, che ci vogliono le protezioni, le mascherine, i distanziamenti, le precauzioni: il corpo sociale non è allenato per sopportare lo sforzo da solo, ci vogliono le protesi.

Pensare di affrontare il Covid con le proprie forze in queste condizioni è come chiedere ad un flaccido cinquantenne che sta guardando la partita in TV con una birra in mano di correre una maratona. Ormai è tardi e i buoi sono scappati.

E tu, hai paura di morire? Ma svegliati, non ti rendi conto che sei morto da una vita?

Accanimento profilattico


Questo articolo è diretto a Te e a ciò che in Te detesto, perché sono profondamente incazzato.

No, caro lettore, non fraintendere, non sto parlando di te. L’articolo è diretto a Te, ossia quella parte di me che vedo riflessa nei tuoi atteggiamenti. Nulla di personale, dunque, non te la prendere per ciò che dirò, e perdona il cacofonico gioco di parole.

Ma veniamo al dunque: devi sapere che non sono mai andato alla scuola materna. Non ci sono andato perché ero troppo piccolo e indifeso, a giudizio di mia madre. Potevo ammalarmi, potevo correre chissà quali rischi. E così sono rimasto fino all’età di sei anni ben protetto dai pericoli che incombevano là fuori, al caldo delle piume di una chioccia affettuosa.

Il mio corpo, il mio cuore e la mia mente non hanno avuto modo di sperimentare un graduale avvicinamento al mondo; ci sono piombato dentro brutalmente quando è iniziata la prima elementare: ero terrorizzato da tutti quei bambini vocianti, tutti come me eppure così diversi da me. Mai visti così tanti tutti assieme; chissà dove si nascondeva il pericolo che tanto spaventava mamma? Non riuscivo a vederlo, ma sapevo che doveva esserci da qualche parte.

Ed ecco che ho iniziato ad ammalarmi; una tonsillite dietro l’altra, ero più a casa che in classe. Mamma aveva dunque ragione? Non avevo gli anticorpi. Il mio corpo fisico non era in grado di difendersi, e nemmeno il mio corpo emotivo: non sapevo come gestire le invadenze dei bambini che ce l’avevano con me: ho vissuto momenti di vera angoscia. Alla fine del primo anno di scuola le mie tonsille devastate sono state asportate, fascicolo archiviato. Piano piano gli anticorpi si sono rafforzati e la mia vita sociale ha preso una direzione apparentemente normale. Ma i danni dentro erano rimasti.

La situazione in cui mi trovo oggi mi riporta ad allora, e ti assicuro che non mi piace per niente. Perché vedi, ti concedo il beneficio del dubbio, così come l’ho concesso a mia madre: probabilmente tutto questo lo stai facendo per me, e non per proteggerti dalle tue inadeguatezze.

Ma in un’angolo della mia mente si annida l’idea sempre più insistente che mia madre volesse in realtà solo salvare se stessa, nell’ingenuo tentativo di nascondere la sua incapacità di gestire i problemi causati dal mio contatto col mondo. E pure tu hai paura di questo, vero? Perché la struttura sanitaria di cui sei dotato è ridotta ai minimi termini, e se mi ammalo non sai che pesci prendere: passi per la mia salute, ma le tue mancanze è bene che rimangano nascoste.

Ma non mi trattare come un bambino, io lo so che prima o poi gli anticorpi li dovrò fare. Asintomatico o meno, prima o poi col Covid-19 dovrò fare i conti. E non mi prospettare il palliativo del vaccino, perché io non voglio vivere così. Non voglio una vita passata a nascondermi, perché dopo il Covid-19 arriverà il Covid-20, il Covid-64, l’Amiga, credi che non sappia che funziona così? Ormai sono cresciuto.

Gli anticorpi li voglio fare con le mie forze, vada come vada, non voglio vivere sotto le tue piume di chioccia ossessiva. Il vaccino tienilo per te e per i tuoi interessi economici e non.

Pertanto voglio che tu sappia ciò di cui sono consapevole: tenermi ancora sotto sequestro mi farà del male. Perché sposterà solo nel tempo il giorno della resa dei conti, e perché nel frattempo causerà altri danni collaterali che tu nemmeno immagini. O forse sì, e questa idea mi inquieta non poco.

E allora, questo è quello che ti dico. Mi ascolti bene? Sto parlando al fascista che è in te. E non cadere dalle nuvole, perché lo so che esiste, non importa che tu sia oppressore o ubbidiente oppresso; nel secondo caso ha solo un bel segno ‘meno’ davanti, ma sempre di fascismo si tratta, e forse della peggior specie in quanto più nascosto e diffuso.

Parlo con te, dunque, e voglio che tu abbia chiaro questo: io non obbedirò più. E non ti affannare a mettere ronde o spie davanti a casa mia, perché non lo farò nel modo che ti aspetti. Io disobbedirò in un modo che non potrai vedere, disobbedirò rimanendo all’interno delle regole che tu hai fissato. Ma dentro di me, nei miei atteggiamenti, nei miei pensieri, nelle scelte lecite che ancora mi lasci, io disobbedirò. Disobbedirò esercitando diritto di voto in modo imprevedibile, disobbedirò nelle mie scelte di acquisto, disobbedirò non prestandomi a farti involontaria propaganda con puerili hashtag #iorestoacasa o #celafaremo, disobbedirò essendo da esempio per i giovani, disobbedirò smettendo di credere a ciò che dici. E tu non ci potrai fare niente.

Non mi puoi fare niente.