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La traiettoria della palla e dell’onda (parte seconda)


Ci siamo lasciati mentre giocavi a palla in giardino; bravo, fai bene a giocare anche se sei adulto, il gioco è il modo più efficace per imparare cose nuove.

Adesso però rendiamolo più interessante: invece di lanciare una palla attraverso due porte, proviamo a lanciarne un frammento piccolissimo, addirittura una molecola, attraverso fenditure ridotte delle debite proporzioni (ti ricordo che la molecola è la più piccola parte in cui puoi dividere una sostanza mantenendone inalterate le caratteristiche: una molecola di acqua possiede tutte le proprietà dell’acqua ed è, a tutti gli effetti, acqua; se procedi oltre nella sua scomposizione in atomi, invece, perdi l’identità della sostanza di origine: nella fattispecie ti ritroverai con atomi di ossigeno e idrogeno, molto diversi dall’acqua).

Ora, siccome il concetto di ‘molecola di palla’ è piuttosto indefinito, ti suggerisco di provare l’esperimento seguendo le tracce dei fisici, che lo hanno eseguito usando molecole di fullerene, composte da 60 atomi di carbonio (non so dove si possa comprare del fullerene a buon mercato, lascio a te i dettagli di implementazione).

Le condizioni dell’esperimento sono di fatto le stesse, cambia solo la scala, che adesso è a livello microscopico. Dopo un bel po’ di lanci di queste ‘piccole palline’ ci dovremmo pertanto attendere,  nella parete retrostante (che adesso è qualcosa di simile ad una lastra fotografica, in grado di registrare i punti di impatto delle molecole), due strisce più marcate in corrispondenza delle due fenditure.

E invece, sorpresa! Un puntino dopo l’altro, quello che si viene a comporre non è una doppia striscia, ma una serie di strisce di interferenza, come se invece di utilizzare palline avessimo usato onde!

Esperimento della doppia fenditura

Come dobbiamo interpretare tutto questo? Le particelle a livello microscopico hanno dunque un comportamento ondulatorio, che diventa corpuscolare quando le dimensioni aumentano? Se le cose stanno così, a che scala avverrebbe il cambiamento?

Ma lo sconcerto aumenta se si riflette bene su quello che è successo: noi abbiamo lanciato una molecola alla volta, e ciò è testimoniato chiaramente dal fatto che dall’altra parte appare un singolo puntino per volta; quindi, quando arriva a destinazione, la molecola è chiaramente ‘una pallina’. Però, la sua traiettoria viene decisa come se fosse un’onda: detto in altri termini, sembra che la particella interferisca con sé stessa. Sembra cioè che parta come particella, diventi onda mentre è in viaggio (e non interagisce con alcunché) e si ritrasformi in particella alla prima interazione con qualche altra sostanza (la lastra fotografica).

A questo punto ti potresti chiedere: ma da quale delle due fenditure è passata la molecola-pallina? Quando giocavo felice nel mio giardino la traiettoria era piuttosto evidente, ed era chiaro che era passata da una oppure dall’altra parte. Ebbene, lascia da parte le tue certezze: in questo caso, la risposta è che la pallina è passata da entrambe le fenditure, oppure da nessuna, oppure meglio ancora che la domanda che hai fatto è priva di senso e pertanto non ha risposta!

yinyang

La verità che ha sconvolto i fisici del primo novecento è proprio questa: finché non effettui una misurazione, la realtà sottostante è indeterminata; ma attenzione: quando dico indeterminata, non intendo in senso blando (la traiettoria esiste, ma io non la conosco), intendo proprio indeterminata: la traiettoria non esiste, e solo la sua misurazione la porta ad esistenza.

A livello microscopico, dunque, non esiste una realtà fatta in un modo o nell’altra indipendentemente dal fatto che la si osservi o meno; l’osservatore contribuisce alla creazione della realtà attraverso il processo di misurazione.

Young

Se tutto questo ti risulta nebuloso, proseguiamo con l’esperimento, non può che peggiorare.

Non sei convinto di quanto dico, e alla fine pretendi una risposta alla domanda ‘da che parte è passata la molecola?’. Quindi, furbo come una faina, piazzi un rilevatore di fullereni, preso in un negozio di cineserie, nei pressi di una delle due fenditure, in modo che ti informi se la pallina è passata di lì, pur lasciandola proseguire indisturbata (questo almeno è quello che credi). Ovviamente viene fuori che nel cinquanta per cento dei casi la molecola passa da una parte, e nel restante cinquanta passa dall’altra (“Visto? lo sapevo!”, dici trionfante).

Certo, ma osserva cosa succede nella lastra fotografica: la figura di interferenza è sparita, adesso è come se non ci fosse più comportamento ondulatorio! Sembra proprio che le particelle ti prendano per i fondelli; siccome volevi conoscere un’informazione circa lo stato corpuscolare della particella, questa ti ha accontentato, ma al prezzo di nasconderti le informazioni di tipo ondulatorio. Essa possiede entrambe le caratteristiche, ma tu sei condannato a conoscerne solo una per volta, non entrambe allo stesso tempo! Fra l’altro ti domandi: ma come faceva la molecola a sapere, quando è partita, che poco dopo la fenditura avrebbe trovato un rilevatore e quindi che doveva assumere aspetto corpuscolare?

Esperimento delle due fenditure senza interferenza

Quello che succede, in termini non rigorosi, è questo: la molecola parte dal nostro ‘fucile a fullereni’ ed assume una traiettoria indeterminata, propagandosi come un’onda in tutte le direzioni; finché non incontra nessun’altra particella, l’indeterminazione persiste, ed è come se la molecola esistesse in più posti allo stesso tempo, anche se solo a livello ‘potenziale’; non appena avviene un’interazione significativa con altre particelle (quello che noi chiamiamo ‘misurazione’), l’indeterminazione scompare, e tutti questi diversi stati potenziali sovrapposti (la pallina è qua, là, altrove tutto allo stesso tempo) collassano in un’unico stato (la pallina è là), lo stato che ci è tanto familiare.

Ed il collasso è probabilistico: la pallina apparirà là con una certa probabilità. Più ripetizioni dello stesso esperimento non condurranno a stessi risultati: ecco che quello che la teoria della relatività sembrava averci tolto, il libero arbitrio negato da una realtà predeterminata e bloccata, adesso ci viene restituito a piene mani dalla fisica quantistica, ed in un modo così sconcertante e affascinante al tempo stesso!

Ma la teoria, che a questo punto diventa piuttosto speculativa, ci porta ancor più giù nella tana del Bianconiglio: un possibile modo di interpretare le cose è che esistano infiniti mondi, uno in cui la palla va a destra, uno in cui va un po’ più a sinistra, uno in cui va su, ecc. ecc.; quando effettui la misurazione, ti scindi in tanti te stesso, ed ogni copia di te percepisce una delle possibili traiettorie come reale (mentre in realtà tutte lo sono, e per ognuna esiste una copia di te convinta di essere unica e di aver colto in flagrante la pallina nel suo passaggio, ad esempio, per la fenditura di destra!).

Gli esperimenti che qui ti ho riportato sono reali e fuori discussione, e sono stati eseguiti per la prima volta usando fotoni (l’unità fondamentale di luce), quindi elettroni e, solo da ultimo, molecole quali i fullereni; le spiegazioni del loro perché sono invece più controverse; è indubbio tuttavia che le implicazioni sul nostro modo di percepire il mondo siano notevoli, che si voglia o meno credere alla teoria dei molti mondi. Per ora non andrei oltre, spero comunque di averti lasciato qualche spunto di riflessione e, perché no, la voglia di approfondire la tematica, che per me è estremamente affascinante e coinvolgente.

E le sorprese non finiscono qui: ma ne parleremo in uno dei prossimi articoli.

Riferimenti bibliografici:

Colin Bruce – I conigli di Schrödinger. Fisica quantistica e universi paralleli

David Lindley – La luna di Einstein. Chi ha detto che è impossibile capire la meccanica quantistica?

Come gocce d’acqua


Fuori piove.

Osservo il giardino dalla finestra, mi soffermo sulle foglie degli alberi scosse dall’acqua, contemplo le pozzanghere punteggiate dalle gocce. Ascolto il rumore costante della pioggia, monotono, soporifero, e penso, la mia mente vaga senza meta…

Adesso cambio il fuoco di osservazione: non guardo più il paesaggio in lontananza, la mia attenzione è catturata dal vetro della finestra: su di esso si fermano numerose gocce, disposte in modo casuale, che ricoprono uniformemente la superficie. Ogni goccia è simile alle altre, praticamente indistinguibile, direi che complessivamente ricoprono alla perfezione il ruolo assegnato loro dalla familiare metafora sull’uguaglianza.

Ad un certo punto succede qualcosa di banale, che attira la mia attenzione: una goccia, fino a quel momento immobile, si sposta verso il basso attirata dalla gravità e ne va ad urtare un’altra, che si trova poco sotto; le due gocce si fondono e proseguono il loro cammino: presto ne incontrano un’altra, poi altre due, poi altre ancora: il movimento diventa sempre più veloce, inarrestabile; non possiamo più parlare di gocce, adesso abbiamo un rivolo d’acqua che si sposta rapidamente lungo la superficie e ingloba tutto ciò che incontra.

Il fenomeno dura pochissimo, meno di un secondo, alla fine il rivolo si spegne sul bordo inferiore dell’infisso, ma mi piace amplificarlo nella sua portata temporale e nel contempo caricarlo di significati: siamo passati da una situazione di immobilità e disaggregazione ad un’altra di dinamismo e aggregazione, esageriamo pure: si è generato un fenomeno di massa. Cos’aveva di così speciale la goccia che lo ha originato?

Gocce di pioggia

Nulla. Il solo merito che ha avuto (e qui le attribuisco, per amor di metafora, una personalità che in realtà non ha) è stato quello di iniziare a muoversi. Se solo qualche istante prima si fosse spostata la goccia che stava poco sopra, o poco sotto, le cose sarebbero andate in un altro modo, l’origine del fenomeno sarebbe stata diversa e forse anche il fenomeno stesso: magari il rivolo d’acqua avrebbe preso una direzione alternativa, si sarebbe forse incanalato lungo la foglia della pianta che ho sul davanzale, che guarda caso è a contatto col vetro.

E noi? Quanto siamo diversi dalle gocce d’acqua? Le persone che nella vita hanno successo (ed in questa parola metti tutto ciò che ritieni più opportuno) sono davvero speciali, oppure hanno semplicemente avuto il merito di muoversi?

Fermo fermo! So già cosa stai per dire: lo so che, per quanto ti possa impegnare, sarà improbabile che tu riesca a vincere il prossimo festival di Sanremo. Ma non è questa la lettura che voglio dare; il concetto piuttosto è: quanti, fra tutti quelli che hanno avuto il dono della bella voce e dell’intonazione, hanno sfondato nella musica? I più bravi in assoluto? No: sono stati premiati quelli che si sono messi in gioco, quelli che si sono mossi (certo, anche qualche raccomandato, ma non usciamo dal tema). Magari avranno pure l’X factor, ma se fossero rimasti appiccicati al vetro, sarebbero al più finiti a fare i coristi in qualche concerto.

Molti studi condotti sui processi casuali come fattori di successo hanno rilevato che spesso le buone caratteristiche di una persona vengono enfatizzate a posteriori, dopo che ha raggiunto la vetta: allora si dice che è un fuoriclasse per questo e per quel motivo e che, date le sue qualità, era inevitabile il risultato conseguito. Quindi si diffonde l’opinione secondo cui solo le persone speciali, gli eletti, possano fare qualcosa di buono nella vita.

La verità è che le capacità non sono l’unico ingrediente, conta molto anche quella che potremmo definire fortuna; e come tutti i processi casuali, se tiri il dado un numero sufficiente di volte, prima o poi il sette arriva. L’importante è che non ti arrenda; il sette è il numero più probabile, ma non è garantito che esca al primo colpo. La determinazione: questo è l’ingrediente del campione o del leader; sa di avere delle qualità, ma sa anche che non sono sufficienti: bisogna provare, cadere, rialzarsi e riprovare.

Il mio ragionamento ha portata più generale: se sei scontento di questo mondo, non ti piace la società in cui vivi, vedi attorno a te solo malcostume, perché non provi ad essere tu la goccia che inizia a spostarsi? Vicino a te ci sarà sicuramente qualcuno che condivide le tue idee, disposto ad accompagnarti nel viaggio; e nel cammino ne troverai altri, magari non subito, magari dovrai fare parecchia strada da solo. Ma se non ti scoraggi, se credi fino in fondo nelle tue idee, prima o poi la massa critica verrà raggiunta, e allora il fenomeno avrà preso vita autonoma, non avrai neanche più necessità di alimentarlo.

E allora, non rimanere appiccicato al vetro ad aspettare il rivolo a cui aggregarti; guarda quali sono le tue qualità, tutti ne abbiamo, e muoviti!

Riferimenti bibliografici:

Leonard Mlodinow – La passeggiata dell’ubriaco. Le leggi scientifiche del caso

Il gioco della selezione naturale


La complessità del corpo umano; il miracolo della nascita; gli ingegnosi sistemi di sopravvivenza messi a punto dalle più svariate specie animali; i delicati equilibri su cui sono basati i processi biologici: basta un piccolo ingranaggio fuori posto, e tutto il meccanismo crolla. Ti pare davvero possibile che tutto questo sia frutto del caso?

Facciamo un paragone: pensa ad un’opera letteraria, ad esempio la Divina Commedia. Immagina di dare una tastiera ad una scimmia e lasciare che questa giochi a battere dei tasti a caso. Immagina pure che la scimmia sia molto paziente, piuttosto longeva, e che continui ininterrottamente nel suo esercizio per un tempo indefinitamente lungo. Vorresti farmi credere che, prima o poi, dalla battitura della scimmia emergeranno i versi della Divina Commedia? Va be’, te lo concedo, non abbiamo limiti di tempo, la scimmia che invecchia potrà essere sostituita da un’altra più giovane, la tastiera è indistruttibile e il PC a cui è collegata ha risorse illimitate… ma vuoi davvero convincermi che alla fine, per puro caso, salterà fuori un’opera letteraria? No, non ci credo: la Divina Commedia esiste perché qualcuno l’ha progettata, è impensabile che lettere disposte casualmente vadano a comporre una tale meraviglia.

Ovviamente tu sei un evoluzionista, insisti con la tua teoria; allora ti propongo un gioco: invece della Divina Commedia, limitiamoci alla più limitata locuzione “FUORI DAL SOLCO”; inventati un meccanismo per estrarre a caso lettere, esegui più estrazioni ripetute di gruppi di 15 lettere, e fammi sapere dopo quante estrazioni avrai composto “FUORI DAL SOLCO”.

Ti ho convinto? Vedrai da solo che già arrivare ad un risultato così semplice è praticamente impossibile, figuriamoci un’intero poema. Converrai con me, pertanto, che anche la teoria dell’evoluzione va rivista in favore di una più convincente teoria della creazione.

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L’argomentazione che ho ora presentato, che a prima vista appare piuttosto convincente, nasconde in realtà una profonda ignoranza di quelli che sono i meccanismi evoluzionistici; parte erroneamente dal presupposto che i processi coinvolti siano casuali, e da questo trae conclusioni palesemente non realistiche per confutare la teoria; è vero che le mutazioni genetiche e ambientali sono dovute al caso, ma i processi di selezione che premiano i più adatti non lo sono affatto (forse chi ha maturato l’idea opposta è stato fuorviato dalla meritocrazia italiana: non facciamoci confondere, si tratta di altra tematica, e comunque anche lì la casualità non c’entra).

In realtà, la selezione naturale opera secondo criteri che sono tutt’altro che casuali: il più adatto sopravvive e si riproduce, gli altri soccombono (ovvio, non c’è un nesso causa-effetto così rigido, magari occasionalmente si riproduce anche il meno adatto, ma la direzione in media è quella). Ho detto si riproduce; questo significa che la generazione successiva non dovrà ripartire da zero, beneficierà della situazione di vantaggio dei genitori: la selezione è cumulativa, ossia si stratificano i progressi di volta in volta fatti nel corso delle generazioni.

Per analizzare meglio il meccanismo voglio proporti una simulazione nella quale viene considerato un mondo semplificato, così riassumibile:

  • abbiamo una popolazione composta da dieci individui, cinque maschi e cinque femmine;
  • la popolazione è costante: ad ogni cambio generazionale, i genitori muoiono e lasciano posto ai figli: di questi, solo i dieci più adatti sopravvivono, per metà maschi e per metà femmine;
  • ogni individuo è descritto da una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli (il codice genetico);
  • per stabilire i criteri di selezione viene introdotto un individuo ideale, preso come riferimento per misurare l’adattamento ambientale; quanto più ogni elemento della popolazione si avvicina al riferimento, tanto più viene premiato dalla selezione naturale; l’individuo ideale dell’esempio è caratterizzato dal codice genetico ‘FUORI DAL SOLCO’, ma puoi cambiarlo con una sequenza di caratteri alfabetici maiuscoli a piacere;
  • ipotizziamo che l’ambiente sia immutabile, per cui l’individuo di riferimento non cambia;
  • il punteggio di adattamento di ogni individuo è pari al numero di lettere in comune con quello di riferimento.

Esistono due procedure: la selezione NON cumulativa, nella quale ogni generazione riparte da zero, innescata dal pulsante con la lettera (A), e la selezione cumulativa (darwiniana), nella quale ogni generazione trasmette ai figli parte del codice genetico, innescata dal pulsante con la lettera (B).

La procedura (A) è semplice: ogni volta vengono generati nuovi individui con caratteri scelti a caso.

La procedura (B) prevede le seguenti fasi:

  • generazione di una popolazione iniziale con caratteri casuali;
  • accoppiamento: si formano coppie in base ai rispettivi punteggi;
  • riproduzione: da ogni coppia nascono figli che hanno per metà i caratteri del padre, per metà quelli della madre; in più viene applicata una modifica casuale ad uno di questi caratteri (mutazione genetica);
  • selezione: i figli così generati vengono ordinati per punteggio (somiglianza con l’individuo ideale), di questi i primi dieci vanno a sostituire i genitori, gli altri non sopravvivono.

Sei pronto? Clicca su questo link e accedi alla simulazione.

Ti invito a provare i due casi: cliccando più volte sul bottone (A) noterai quanto sia difficile avvicinarsi all’individuo evoluto, perché ogni volta si riparte da zero, non c’è ‘memoria’ degli errori precedenti.
La procedura innescata dal bottone (B) converge invece verso l’individuo di riferimento, e nel giro di qualche decina di generazioni raggiunge l’obiettivo.

Quindi: chi cerca di convincerti dell’improbabilità dell’evoluzione parte dal presupposto che questa sfrutti il meccanismo (A), mentre quello da chiamare in causa è il (B).

Ora ti lascio libero di sfogarti nei commenti, ma alcune precisazioni sono d’obbligo: in primo luogo, questa non dimostra affatto che la teoria dell’evoluzione è giusta, ma semplicemente che l’argomentazione che la vuole negare è sbagliata. In secondo luogo, e a questo tengo particolarmente, mi sembra piuttosto ovvio come, anche sposando la teoria dell’evoluzione, la decisione circa i criteri di selezione non spetti agli esseri umani: chi avesse aspirazioni neo naziste abbia chiaro in mente che gli esseri viventi (tutti) sono oggetto di questo meccanismo, non soggetto attivo. L’olocausto non è colpa di una teoria, ma della stupidità di chi si lascia convincere da interpretazioni distorte della stessa.

Un momento. Ho parlato di esseri viventi. Forse possiamo spingerci oltre? Forse il meccanismo ha portata più generale, forse si può applicare anche alle idee?

Riferimenti bibliografici:

Richard Dawkins – L’orologiaio cieco