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Un sano egoismo


L’educazione ci insegna che è bene essere altruisti. L’istinto di sopravvivenza ci spinge verso l’egoismo. Il giusto sta nel mezzo. Bene, ma che bella ricetta! Il problema è che si tratta di un ragionamento piuttosto superficiale, intriso di moralismi e poco aderente a ciò che ciascuno, nel proprio intimo, sente.

Perché diciamocelo, alla fine di un serio percorso altruistico arrivi al punto in cui vorresti prendere le teste di tutti quelli che ti circondano, metterle nel sacchetto della tombola e shakerarle per bene.

Il famoso economista Adam Smith era fautore del principio della mano invisibile, secondo il quale ogni sistema economico deve essere lasciato a sé stesso, ed ogni operatore può agire al suo interno spinto unicamente dal proprio interesse: ciascuno per sé e Dio per tutti; questo garantirebbe il raggiungimento spontaneo di un punto di equilibrio che si stabilizza su una situazione ottimale per tutti.

Peccato che i presupposti di questa teoria si basino sulla libera circolazione dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e soprattutto delle informazioni: tutto questo nella pratica è utopistico, e la realtà dei fatti ci mette di fronte ad enormi disparità nella distribuzione del reddito e del benessere. Teoria interessante in linea di principio, ma non applicabile nel quotidiano.

Esistono d’altra parte punti di vista che affermano che il vero altruismo non esiste, in quanto ogni forma di aiuto verso il prossimo nasconderebbe in realtà un qualche tornaconto, anche solo di tipo morale: per esempio il rafforzamento dell’autostima in quanto persona buona, o l’appagamento dell’esigenza di sentirsi utili, di avere uno scopo nella vita, o semplicemente di non sentirsi divorato dai sensi di colpa. Queste forme di egoismo mascherate, in quanto tali, sarebbero di gran lunga peggiori, perché subdole e nascoste.

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Ma fin qui stiamo usando il metro del giudizio: cos’è bene? Cos’è male? A mio avviso questo registro non porta da nessuna parte; proviamo ad essere pratici e ad applicare  il buon senso.

Una verità a mio avviso incontrovertibile è che se non stiamo bene noi per primi, non possiamo essere in grado di aiutare gli altri. Le stesse procedure di emergenza lo suggeriscono: per prima cosa mettere in salvo sé stessi, quindi adoperarsi per gli altri.

A questo punto l’educazione religiosa che hai ricevuto inizierà a parlare attraverso di te, prorompendo con un: ma in base a questo principio ognuno può fare ciò che gli pare, anche rubare o commettere altri delitti, se questo lo fa stare bene. Bisognerà pur dare delle regole, altrimenti ci ritroviamo nel Far West!

Ma le regole ci riportano ad una morale esterna, condivisa quanto vuoi, ma pur sempre arbitraria e non necessariamente in linea con quella che è la vera essenza di ciascuno. Il rischio è quello di un’invasione della sfera privata dell’individuo, riempiendogli la testa di dogmi e precetti spesso obsoleti e talvolta assurdi. Quello che sta accadendo nella società odierna.

Come conciliare quest’apparente paradosso, dunque?

Io sono senza dubbio un fautore del sano egoismo: non ho la presunzione di sapere cosa è giusto per un altro individuo, tendenzialmente cerco di lasciarlo libero di fare ciò che ritiene più opportuno, e non ammetto che mi si venga a dire ciò che dovrei o non dovrei fare.

E di solito non rubo. Cosa me lo impedisce? Dopotutto mi procurerebbe del benessere.

E qui entra in gioco un fattore misconosciuto nella cultura occidentale ma ben noto in quella orientale: yin e yang, la complementarietà degli opposti, l’unitarietà del tutto.

Come ho già sostenuto in questo articolo, la pretesa separazione fra noi e resto del mondo è illusoria, perché tutto è uno! Il sistema universo non è scindibile in una lista di componenti fra loro separate, perché è olistico, come ogni sistema che si rispetti. La separazione che vediamo deriva da esigenze pratiche della mente, ma non corrisponde ad alcunché di reale; è un modello di comodo.

Lo so, questo punta di vista proprio non ti va giù… ma a prescindere che tu sia d’accordo o meno, pensa a dove potrebbe condurre se lo si accettasse: se tutto è uno, che senso ha parlare di altruismo ed egoismo? Non avrebbe alcuna utilità infliggere un torto arbitrario a qualcuno, perché lo infliggerei a me stesso! Pensa alla potenza di questo argomento, e quanti nodi è in grado di sciogliere.

Ha senso farti un taglio ad un braccio? Beh in linea di principio no… ma se applico una piccola incisione per far fuoriuscire un corpo estraneo, allora sì. E se in luogo del braccio, mettiamo un altro individuo, ecco che in certi casi può aver senso andare contro la cosiddetta morale, e procurargli un apparente danno in nome del proprio benessere (ehi tu, moralista dal posto fisso, lo sai che lo stai sottraendo ad un povero disoccupato vero? Saresti dunque disposto a cederglielo, in virtù dei tuoi sani principi?)

Mi dirai che questa visione è arbitraria e può essere facilmente strumentalizzata per fare ciò che si vuole; vero, ma resta il fatto che le tue azioni avranno un risultato, indipendentemente da come riesci a giustificarle; e che se tutto è uno, questo risultato riguarderà inevitabilmente pure te.

Le leggi degli uomini si possono eludere, ma quelle di natura sono di ben altro tipo.

Per un litro di latte


Racconto ora di un evento accaduto in settimana a mia moglie che, recatasi a fare la spesa al supermercato, è stata avvicinata da una giovane donna che le ha chiesto di comprarle qualcosa da mangiare, possibilmente del latte per il figlio, perché si trovava in uno stato di bisogno.

Mia moglie ha dunque comprato un litro di latte in più oltre a quelli che aveva in lista (della marca abc che normalmente compra, un po’ più economica delle altre) e, dopo aver pagato, lo ha portato alla giovane donna che attendeva poco dopo le casse con una busta contenente altri viveri (forse donazione di altri clienti?).

Al momento della consegna la donna ha però rifiutato il latte dicendo che suo figlio consumava solo la marca xyz. Di rimando mia moglie, un po’ spiazzata, ha risposto: ‘Noi invece prendiamo questo perché costa meno” e lo ha rimesso insieme al resto della spesa, tenendolo per sé.

La sera mi ha raccontato questo fatto, dicendomi (a ragione) di come si fosse sentita presa in giro, di come si fosse abusato della sua fiducia, di come questa vicenda potesse andare a discapito di un potenziale futuro ‘vero’ indigente, che forse non avrebbe ricevuto aiuto a causa di un inevitabile aumento di sospettosità.

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La riflessione che voglio sottoporre è la seguente: possiamo provare a dare una lettura non convenzionale a questo accadimento? Dopo tutto, il dato oggettivo evidenzia che è stata comunque compiuta una buona azione, e per giunta a costo zero (quel latte poi noi lo abbiamo utilizzato nel naturale ciclo di consumo familiare).

In altri termini: il beneficiario della buona azione deve per forza goderne affinché l’esecutore ‘meriti il paradiso’, o è sufficiente il semplice gesto di mettersi a disposizione? Se la ragazza avesse accettato il latte, e poi a seguito di qualche strana coincidenza questo fosse tornato indietro per altre vie (ad esempio perché la commessa del supermercato richiamava mia moglie dicendo: “Signora, che sbadata, dimenticavo che comprando tre litri di latte questa settimana un quarto è in offerta, passi pure a prenderlo allo scaffale!”), allora si sarebbe intravista una sorta di giustizia divina, ci si sarebbe convinti che le buone azioni prima o poi tornano sempre indietro, insomma ci si sarebbe rallegrati.

Ebbene, in questo caso è accaduto un cortocircuito e la buona azione è tornata indietro all’istante, prima ancora di partire. Non è la stessa cosa? Perché risentirsi? Dove sta la differenza fra le due situazioni, è oggettiva o solo un fatto di percezione?

E da qui possiamo poi passare al caso duale, quello di chi compie una buona azione per suo vantaggio. Un tale atto ipocrita è per molti alquanto deprecabile: il fatto che esista la convenienza fa perder molto alla buona azione, anzi quasi le dipinge attorno una luce maligna. Ma anche qui è opportuno considerare solo i dati oggettivi, non i giudizi di valore: se io faccio bene a qualcuno e nel contempo ne traggo vantaggio, sto incrementando il benessere di due persone. Se lo faccio a mio discapito, probabilmente l’incremento complessivo di benessere è vicino allo zero, in ogni caso inferiore al caso precedente.

E allora? Meglio stare bene in due, oppure devo per forza soffrire per meritare il paradiso?

So che con queste mie considerazioni difficilmente incontrerò la tua approvazione, ma la mia intenzione è quella di provocare uno scossone; se tu fossi d’accordo con me, proseguiremmo allegramente la nostra passeggiata dentro al solco comune, ma allora perché affannarsi a scrivere?…