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Condensazione: la caduta dall’Eden


Le giornate sul pianeta Hydor duravano trenta delle nostre ore, mentre l’anno corrispondeva a ben cinquemila dei nostri.

L’atmosfera era un indistinto e caotico brulicare di molecole di acqua allo stato puro; i potenti raggi della stella Zoe garantivano energia in abbondanza per mantenere quella situazione di vaporosa confusione anche durante la notte.

L’asse di rotazione non era inclinato rispetto al piano di rivoluzione, pertanto il dì e la notte avevano sempre la stessa durata. L’orbita del pianeta era invece fortemente eccentrica, e per questo la sua distanza dalla propria stella variava enormemente nel tempo.

La frenesia caotica dell’atmosfera era solo apparente, perché le radiazioni elettromagnetiche erano tali da infondere alle molecole uno stato di elevata coerenza vibrazionale a livello quantistico; tale coerenza poteva a tutti gli effetti essere considerata il substrato connettivo della coscienza del pianeta, mentre le brulicanti molecole ne erano il supporto materiale, i singoli neuroni.

Hydor poteva pertanto dirsi un essere senziente a tutti gli effetti.

I cicli siderali portarono lentamente il pianeta verso la posizione di maggior distanza dalla stella, e questo causò un forte abbassamento della temperatura a partire dagli strati più alti dell’atmosfera; il vapor acqueo poco a poco condensò, dapprima in minuscole goccioline d’acqua, poi in piccoli pezzettini i ghiaccio che divenivano via via più grandi col progredire del processo di raffreddamento, inglobando a sé le molecole d’acqua rimaste libere ed assumendo le forme più svariate, per lo più dettate dal caso ma secondo schemi ricorrenti.

Mano a mano che le dimensioni dei blocchi di ghiaccio crescevano, si andavano lentamente consolidando quelle che potremmo definire coscienze individuali: ogni blocco prendeva atto della propria unicità e separazione rispetto a tutti gli altri.

Quando il processo di cristallizzazione fu completato, iniziò una nuova fase di organizzazione; si crearono gerarchie di individui, per lo più basate sulla forma e la dimensione; i più grandi e simmetrici occupavano posizioni di comando, mentre quelli piccoli e dai contorni irregolari erano bistrattati e relegati a posizioni subalterne. Le Grandi Sfere erano ai vertici supremi.

La provenienza comune di ciascuno di questi esseri non era nemmeno più un ricordo, così come la casualità che aveva guidato il processo di cristallizzazione, e delle singole molecole d’acqua si era persa ogni traccia, tanto erano saldate fra loro in quelle nuove gelide e solide forme.

Ovunque regnava freddo e separazione; iniziarono i primi conflitti, le prime rivolte degli irregolari che volevano affrancarsi dal dominio dei simmetrici.

I cicli siderali intanto facevano il loro corso, incuranti di quanto accadeva su Hydor; la temperatura iniziò a salire lentamente ma inesorabilmente, e di questo iniziarono ad incolparsi reciprocamente i gelidi abitanti del pianeta; fu il pretesto per l’inizio di furiose lotte per il potere.

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Si cominciò a parlare di surriscaldamento globale, di inquinamento, di sviluppo sostenibile, temendo ipocritamente per il futuro delle nuove generazioni; ciascuno di loro conosceva bene la sorte a cui stavano andando incontro: lentamente iniziavano ad provare sudori freddi, a dimagrire, a perdere vigore.

Quel calore insopportabile avrebbe segnato presto la loro fine: e non occorreva essere Cassandra per comprendere che la direzione era segnata e non c’era via di ritorno.

Gli individui iniziarono a morire, partendo dai più piccoli e dagli irregolari; l’ultimo disperato tentativo di sopravvivenza fu rappresentato da una guerra globale, innescata da quella follia collettiva che la paura della morte aveva alimentato; questo non fece che accelerare il processo, perché grandi blocchi regolari venivano spezzati in piccoli ed irregolari, per i quali lo scioglimento era più rapido.

Il fenomeno era inarrestabile, la sorte segnata: lentamente, uno dopo l’altro, perirono tutti; e le molecole d’acqua, fino ad allora imprigionate in quell’assurda immobilità, ripresero a vibrare; dapprima disordinatamente, poi con coerenza crescente, guidati da quella formidabile direttrice d’orchestra che era Zoe.

Fu il risveglio da un profondo sonno, il ritorno da una lunga notte popolata di incubi.

Fu il riaffacciarsi alla Vita.

Come un ruscello


Ogni volta che, dopo abbondanti piogge, passo davanti a questa cascatella, non posso fare a meno di fermarmi a guardarne la bellezza; è accaduto anche qualche giorno fa, e in quell’occasione mi sono tornate alla memoria riflessioni che espressi in uno dei miei precedenti articoli.

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La vedi quella roccia? La foto non rende appieno, ma ti assicuro che è parecchio dura, e tuttavia è stata scavata assai profondamente; volendolo personificare, quel ruscello è riuscito in un’impresa davvero eccezionale.

Lo sai perché?

Per la sua costanza, dirai: certo, è vero, questa è la prima cosa che salta agli occhi, gutta cavat lapidem; ma scendiamo un poco più al di sotto della superficie.

Sempre seguendo la metafora della personificazione, ti chiedo: secondo te, il ruscello ha mai dubitato per un istante di farcela? Si è mai chiesto se ne valesse la pena? Si è mai sentito in affanno, in preda all’ansia e spaventato dall’enorme lavoro che aveva da compiere?

Tu risponderai: ma il ruscello non si è mai posto alcun obiettivo di scavare la roccia, questo è avvenuto per il solo fatto che il suo corso passava in quel punto. Non c’è alcuna intenzionalità in tutto questo, la metafora non regge più, se spinta così lontano.

Bravo, ha centrato il punto! Il ruscello non ha alcun obiettivo, semplicemente segue il suo corso, si limita ad essere sé stesso; e tuttavia, guarda che bel risultato ne è venuto fuori!

E allora mi domando: non sarà forse il caso che pure io abbandoni affanni, preoccupazioni, ansie da prestazione… e mi limiti semplicemente ad essere me stesso? Potrebbe essere interessante scoprire a quali grandi imprese porta tutto ciò, non credi?

Ma l’acqua gira e passa e non sa dirmi niente
di gente e me o di quest’aria bassa.
Ottusa e indifferente cammina e corre via
lascia una scia e non gliene frega niente.

Che elemento!


Se mi chiedessero a quale dei quattro elementi desidero assomigliare, non avrei dubbi: l’acqua.

Perché l’acqua ha la capacità di adattarsi al contenitore che la ospita: ha mille forme e non ne ha alcuna. Può essere solida, liquida o gassosa, ma mai nessuna di queste modalità dice alcunché sulla sua vera essenza.

Perché l’acqua sa essere cheta, ma sa anche incazzarsi e dimostrare con inusitata violenza la propria forza, se necessario.

Perché l’acqua non si imbriglia: se ha deciso che deve scendere a valle, puoi creare quante barriere vuoi, ma prima o poi vincerà lei; se le chiudi un passaggio, ne troverà un altro.

Perché l’acqua è dinamica: si muove incessantemente da uno stato all’altro, evapora, si condensa, precipita sotto forma di pioggia, grandine, neve. L’acqua è onda.

L’acqua raffredda, e riscalda. L’acqua mitiga. L’acqua è vita.

L’acqua è tutto questo, e questo è ciò che mi impegno a diventare.