Sono sdraiato sul prato, occhi rivolti al cielo in cerca di stelle cadenti.
Focalizzo lo sguardo in un punto, poi lo sposto in un altro, poi un altro ancora, cercando di cogliere l’attimo e il luogo in cui passerà la scia luminosa. Questa modalità è per me frustrante e ansiogena: vuoi vedere che mentre mi concentro di qui, la furbetta mi frega e passa di là? Gli occhi si muovono frenetici assecondando il mio bisogno di famelica ricerca.
Poi decido di rilassarmi, e di cambiare modalità: non focalizzo più lo sguardo, ma cerco di accogliere la volta celeste nella sua totalità usando la visione periferica; non osservo alcun punto del cielo, ma contemplo il cielo, che mi appare ora meno dettagliato, ma sicuramente più unitario: ho una percezione olistica di quella scura cupola punteggiata di luce.
E improvvisamente eccola, sulla destra! A quel punto sì, che focalizzo lo sguardo là dove serve, e mi godo quell’istante di effimera bellezza. Un picco di momentanea attenzione che torna subito ad appiattirsi nella contemplazione del tutto, senza aspettative, senza ingordigia.
E mi rendo conto che vivere si può ricondurre proprio a questo pulsare.
Se rimango troppo concentrato su un piano, un progetto, una persona, un’aspettativa, perdo la visione d’insieme; e magari una scia luminosa mi passa accanto, mentre ho lo sguardo rivolto altrove.
Non voglio più che la mia vita sia affannosa ricerca, ma contemplazione del tutto in placida attesa, punteggiata da una miriade di fugaci attimi di stupore che mi chiamano temporaneamente all’azione, per poi lasciarmi nuovamente andare al mistero dell’inconoscibile, dell’incontrollabile, dell’imprevedibile.
Battito del cuore, respiro cosmico. Energia che emerge dal vuoto. Che meraviglia!