In questo periodo mi sento diverso, e solo. Molto più del solito, o forse lo sopporto molto meno, chissà.
Sento di essere rifiutato dal branco, reo di rimanere fedele al mio sentire più profondo. E ho paura, molta paura di non sopravvivere, da solo nella tormenta.
Un giorno vado a fare una corsa nel bosco; sulla via del ritorno, mentre passo per il piccolo paese di Goretta, una voce squillante mi richiama da dietro.
“Buongiorno!” dice la signora con le borse della spesa.
“Buongiorno” rispondo io.
“Le piace molto Goretta, la vedo passare spesso!”
“Sì, mi piace tutto questo monte” ribatto io indicando la costa di Lavaggio.
“Se, quando passa, avesse bisogno di acqua, chieda pure, io abito qualche casa più sopra!”
“Grazie! Gentilissima”, concludo io, saluto e riprendo la mia corsa pensando fra me e me: ha spontaneamente offerto acqua a un perfetto sconosciuto.
Qualche giorno dopo è la volta di un giro in bici, direzione Piancassina, all’estremità più selvaggia della Valbrevenna.
Giunto a destinazione, perlustro incuriosito le strade del piccolo paesino; una donna chiede se ho bisogno, e rispondo che sto solo visitando il centro abitato.
Iniziamo a parlare del più e del meno, di sentieri, di luoghi, di conoscenze in comune che scopriamo di avere; ben presto arriva il marito, che si aggiunge alla conversazione, finché non vengo invitato in tavernetta a prendere un caffè; un caffè offerto a un perfetto sconosciuto. Il mio giro in bici avrà un ritardo imprevisto di un’ora.
Sono segnali che non posso ignorare, segnali che aprono il cuore, e che dicono che sì, viviamo in un mondo dominato dalla paura, dalle ferree e intransigenti regole di un branco un po’ atipico che impone separazione e lontananza, per il bene comune; ma dietro questo strato di freddo calcolo esiste ancora la brace dell’umanità, esiste ancora la voglia di connessione.
Non sono nato per stare in branco, questo è chiaro; ma neanche i lupi solitari sono mai davvero del tutto isolati nella tormenta.