Un amico si rivolge a te perché ha un problema: sembra più che naturale volersi adoperare per aiutarlo a trovare una soluzione.
Ma sei proprio certo che si sia rivolto a te per questo? Sei certo che sia ciò di cui ha veramente bisogno?
Beh, se il problema che viene posto è di tipo squisitamente tecnico, probabilmente sì, per esempio: “non parte il decespugliatore, ho già pulito il carburatore e sostituito la candela ma continua a non funzionare, ti viene in mente cos’altro potrebbe essere?”
Ci sono però casi in cui le persone si confidano per condividere un disagio esistenziale, al solo scopo di non sentirsi sole, di sentirsi comprese. Allora, il problema in sé diventa un pretesto, e se ti prodighi per risolverlo, o per convincere che nella vita c’è di peggio nel tentativo, in totale buona fede, di sollevare l’amico dal disagio… ebbene in tal caso otterresti l’effetto opposto.
Trovare una soluzione alla situazione contingente non farebbe che eliminare un appiglio, e magari comunicare implicitamente all’altro: eccoti ciò che ti serve (incapace), ora va e non mi scocciare.
Ho esagerato un po’ i toni per rendere l’idea, ma parlo per esperienza: è così che mi sono sentito in molti frangenti.
è importante comprendere che spesso le persone non vogliono risolvere problemi ma soltanto avere qualcuno vicino, e mantengono in vita lo status quo a tal scopo, come un bimbo che finge di star male per avere l’affetto dei genitori.
Siamo in molti, bimbi bisognosi di affetto.