L’omeostato


Quel muro andrebbe abbattuto; separa due stanze troppo piccole, inutilizzabili; rimuovendolo, invece, si ricaverebbe una camera da letto molto spaziosa.

Occorre però spostare tutti i mobili, da qualche parte bisogna pur metterli. L’idea della polvere che normalmente accompagna l’operato dei muratori assetati di distruzione, poi, mi terrorizza. E poi ci sarà da ridipingere le pareti. Odio dipingere le pareti! Senza contare che, lavori a parte, il cambio di destinazione di quelle due stanze mi costringerebbe a cascata a ridisegnare il layout dell’intera casa.

Insomma, che situazione complicata: lo status quo non mi soddisfa, immagino che a lavori ultimati starei molto meglio, ma la prospettiva di attraversare la fase destabilizzante della ristrutturazione mi blocca in una situazione di stallo.

Vorrei cambiare, ma non posso. Cosa mi frena in definitiva? Da dove nasce la mia paura del cambiamento? Posso individuare un motivo più fondamentale sotteso alle mie dinamiche più o meno inconsce?

Per quanto mi riguarda, direi di sì. Non sono le paure di soffrire, di faticare o di sbagliare a frenarmi, ma qualcosa di più fondamentale: in quanto essere biologico sono un sistema omeostatico, un sistema che tende al raggiungimento dell’equilibrio e al suo mantenimento. Per questo mi è così difficile cambiare: per farlo bisogna abbandonare la situazione di equilibrio (che si potrebbe altrimenti definire zona di comfort), attraversare una fastidiosissima e per nulla desiderata fase di sbilanciamento, per poi raggiungerne un’altra.

Non so se c’è, ma mi convinco che c’è, ci dev’essere per forza… chissà come sarà poi? Migliore o peggiore di quello attuale? E non mi rendo conto che in fondo non importa nulla, perché quello che alla fine più interessa alla mia macchina biologica non è stare bene, ma stare in equilibrio senza troppi sforzi. Non accetterei mai il nirvana a condizione di stare perennemente su una corda tesa e dieci metri da terra.

Perché come forse saprai l’equilibrio può essere stabile, instabile o indifferente: nelle specie di primo tipo lo stato del sistema tende a ritornare al punto di partenza, e può essere necessario applicare una forza molto grande per discostarsene definitivamente.

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E siccome, ahimé, sono una persona assai equilibrata, mi trovo in svariate situazioni di vita in questa condizione. E conosco tante, troppe persone come me, che rimangono in situazioni scomode, talvolta foriere di sofferenza, ma dotate a loro modo di un marcato equilibrio e pertanto difficili da abbandonare.

Estremizzando provocatoriamente (ma non troppo), anche lo stato di chi subisce quotidianamente violenza (fisica o psicologica che sia), a ben analizzarlo, può rappresentare una condizione di equilibrio stabile, che si può raggiungere anche solo per reiterazione, una ripetizione che scava quel solco profondo, che chiamiamo abitudine, dal quale difficilmente la pallina riesce ad allontanarsi.

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