Attualmente lavoro come programmatore; di norma mi occupo di creare componenti software che vengono poi utilizzati dai miei colleghi per sviluppare il prodotto finale.
Siccome non sono proprio al livello di Bill Gates, spesso capita che ciò che ho messo a punto non funzioni come atteso, e quindi mi ritrovi ad affiancare il povero collega di turno che non riesce ad ottenere il risultato sperato.
Di solito si tratta di malfunzionamenti di cui lui (o lei), non conoscendo la parte da me sviluppata, non è stato in grado di trovare la causa, e pertanto si trova costretto a rivolgersi a me.
Ora, normalmente la dinamica è la seguente: io mi siedo a fianco del collega e questi inizia a spiegarmi cosa non funziona.
Il fatto è che non si limita semplicemente a descrivermi il malfunzionamento nudo e crudo, ma lo decora con una serie infinita di dettagli sulle prove che ha fatto, le congetture che hanno portato a tali prove, le situazioni in cui invece funziona tutto. Anzi, spesso parte proprio da queste: mi illustra tutta una serie di casistiche in cui il programma lavora come dovrebbe, quasi a rassicurare me e sé stesso che è stato fatto tutto a regola d’arte, e che quell’unico caso di malfunzionamento è decisamente inspiegabile…
Ci sono addirittura casi in cui tutto questo parlare lo porta a trovare da sé la spiegazione… ed allora mi ritrovo a svolgere più la funzione di psicanalista che di consulente software… ma di questo ho già parlato.
Io ascolto il paziente che racconta i propri sintomi, ma dentro di me inizio a spazientirmi… tutto questo polverone non mi aiuta a capire, vorrei solo vedere il malfunzionamento e basta.
La situazione si aggrava quando, terminata l’introduzione, mi accingo a debuggare il programma per trovare la soluzione; a questo punto, lo zelante collega non si zittisce affatto: inizia ad elencare le proprie ipotesi, i propri suggerimenti, le proprie offerte di aiuto. Io d’altro canto vorrei solo che tacesse e rimanesse a disposizione per darmi le sole informazioni di cui ho bisogno, non tutte quelle che lui ritiene opportuno dovermi fornire.
Nei giorni in cui mi sento meno Zen mi verrebbe da urlargli: “Senti, qui c’è un problema: non mi interessa l’elenco dei non problemi, devi solo dirmi cosa non va; tieni pure le tue ipotesi per te, se fossero valide ti avrebbero già condotto alla soluzione e adesso non mi troverei qui a sentire tutte queste inutili chiacchiere!”
Ma si tratterebbe evidentemente di uno sfogo inopportuno, tanto più che i suggerimenti esterni possono rivelarsi preziosi: il punto è che dovrebbero arrivare quando servono, non fluire alla rinfusa quando ancora non si è avuto modo di far mente locale; pensare con la testa sgombra da condizionamenti e preconcetti è essenziale per ragionare con efficacia.
Quindi scelgo l’unica strada diplomaticamente accettabile: mi sforzo di concentrarmi sul monitor e di non ascoltare il chiacchiericcio che fluisce ininterrotto al mio fianco. Questo però comporta fatica, e rallenta il compimento del lavoro.
L’altro giorno, dopo uno di questi episodi, è maturata in me la riflessione: io mi trovo sempre in questa situazione!
Già, mi trovo sempre in questa situazione, anche quando non c’è lo zelante collega! Il chiacchiericcio incontrollato e rumoroso è sempre presente nella mia testa… e sono pronto a scommettere che è anche nella tua! Il nostro personale collega incorporato!
Lui è la causa di questo incessante dialogo interiore che mi distoglie da ciò che sto facendo, portandomi a pensare ad altro, ad anticipare ipotetici e spesso problematici eventi futuri, a rivivere eventi passati spesso generatori di emozioni negative, a ripetere mentalmente il ritornello della canzone sentita poco prima alla radio, a vivere in un mondo simulato tralasciando l’unico, concreto momento presente!
Sto avvitando una vite… e la mente divaga sulla necessità di tagliare l’asse di legno… sto pesando la pasta, e intanto penso alla necessità di tagliare l’erba in giardino… mi sto lavando i denti… ed il collega interiore mi parla di un torto subito…
Come si fa ad operare bene in questa situazione? Impossibile! Certo, dei risultati si ottengono… ma a prezzo di che fatica? E sono risultati ottimali?
Prima di lamentarmi del collega ‘vero’… sarà dunque il caso di porre rimedio a quello interiore, ahimé presente anche fuori dall’orario di ufficio… mi segue ovunque vada ed è molto, molto più assillante!
Non dico di farlo fuori, questo no… ma farlo parlare solo quando serve… e quando non serve lasciarmi finalmente vivere la quiete del silenzio interiore!