Il diritto è una materia che mi è sempre stata indigesta; questo non significa tuttavia che non abbia alcune reminiscenze, più o meno vaghe: una di queste riguarda la distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato, distinzione che voglio qui riproporre.
L’obbligazione, in termini giuridici, è costituita da un comportamento che un debitore deve tenere nei confronti di un creditore; quello più semplice e terra terra riguarda il conferimento di una somma in denaro, ma più in generale può trattarsi di un qualsiasi genere di adempimento.
Ebbene, considerandoli dal punto di vista del criterio di valutazione di assolvimento dell’obbligazione, questi adempimenti si possono suddividere in due categorie:
- obbligazione di risultati: è da considerarsi assolta se è stato ottenuto un certo risultato; ad esempio, l’automobile non funziona e la porto a riparare: pagherò il meccanico solo se me la restituisce funzionante; questo è il risultato che lui si impegna, per la natura stessa del suo lavoro, a garantirmi;
- obbligazione di mezzi: è da considerarsi assolta se sono state adottate tutte le ragionevoli misure per ottenere un certo risultato, a prescindere dal fatto che questo sia stato raggiunto; tipica obbligazione di mezzi è quella derivante da lavoro subordinato: il lavoratore è da considerarsi solvente se ha prestato al principale il proprio tempo e la propria opera con la dovuta diligenza, anche se poi non sono stati raggiunti i risultati sperati.
Da un punto di vista pratico è piuttosto evidente come quello che conta siano i risultati, per cui la distinzione sembra un mero esercizio accademico, una di quelle masturbazioni cerebrali che ho sempre attribuito, dal basso dei miei preconcetti, ai giuristi; non me ne volere, so di muovermi in fondo al solco scavato dalla mia avversione per la materia.
Poi mi sono chiesto: di che natura sono le obbligazioni che assumo nei confronti del creditore più importante, cioè me stesso? Devo limitarmi a considerare i soli risultati, oppure posso dirmi solvente nella misura in cui ho messo il massimo dell’impegno in ciò che sto facendo?
Dalla mia affermazione precedente sembrerei propendere per la prima opzione, ed in effetti fino a poco tempo fa era così; poi mi sono convinto di una cosa: i risultati non dipendono solo da ciò che facciamo. Basarsi unicamente sul risultato conduce inevitabilmente alla frustrazione e non ha alcuna utilità: alla fine ci scoraggia e ci fa mirare in basso per vincere facile.
Ad esempio: io scrivo un libro, ci metto il massimo dell’impegno, curo con attenzione i particolari, non lascio nulla al caso. Diventerà automaticamente un best seller? No di certo, perché sono infinite le variabili, al di fuori del mio controllo, che influenzeranno tale risultato. Se dovessi valutare l’opportunità di impegnarmi con me stesso nella scrittura di un’opera che venda milioni di copie con ogni probabilità nemmeno inizierei, sapendo già a priori di avere un’alta probabilità di rivelarmi insolvente.
Il giusto compromesso diventa allora: puntare in alto, ma non avere la pretesa di centrare il bersaglio. Mirare al risultato, ma concentrarsi sui mezzi.
Ritenersi soddisfatti se siamo riusciti a fare del nostro meglio, a prescindere da ciò che si ottiene. Finiamola di essere usurai di noi stessi, se eliminiamo la stretta creditizia ci verrà più naturale porci obiettivi ambiziosi e magari, perché no? Raggiungerli!