L’esperimento della radio


Voglio adesso raccontarti di una mia esperienza recente, testimonianza di alcuni tentativi di uscita dal solco.

Per ragioni che non è il caso di approfondire in questo articolo, ho scelto di rinunciare per una quindicina di giorni a tutta una serie di input provenienti da televisione, internet e affini, a meno che non fosse necessario per lavoro o studio.

Per la televisione è stato facile, in casa non ne abbiamo. Per il computer, siccome faccio il programmatore, la rinuncia è stata per lo più rivolta a social network, streaming audio video e similari. Ho incluso della lista anche la radio, di cui normalmente faccio ampio uso durante gli spostamenti in macchina, ed è stata questa l’esperienza più significativa di cui ti voglio rendere partecipe.

Ascoltare la radio per me è un’abitudine molto radicata, e nei primi giorni di ramadan è accaduto sovente che, a livello inconscio e completamente meccanico, appena allacciata la cintura la mia mano andasse a premere il tasto di accensione, salvo poi ricordarsi del fioretto e ritrarsi. Pure durante il viaggio, immerso in altri pensieri, spesso avvertivo una sensazione di mancanza, sentivo un vuoto che andava colmato, e nuovamente mi portavo meccanicamente verso il tasto di accensione.

Come strategia per sopravvivere a questa insopportabile astinenza ho deciso allora di sostituire gli input sonori con altri tipi di input, in particolare osservando meglio il mondo che mi circondava lungo il tragitto casa-lavoro. Mi concentravo di più sui particolari (cercando ovviamente di non uscire di strada, spesso è stato necessario rallentare), ora osservavo meglio quel pino dalla forma strana, perché la galaverna della stagione precedente gli aveva spezzato la punta, quel giardino così ben curato, il ponte a due arcate della ferrovia a scartamento ridotto che, chissà come mai, neanche sapevo esistesse, appena appena si intravvedeva fra gli alberi spogli.

Insomma, per quei quindici giorni mi sono trovato costretto a vivere maggiormente il momento presente, ma soprattutto a violare dei meccanismi automatici a cui ero assuefatto costringendo il mio cervello in qualche modo ad intervenire per gestire una situazione nuova.

Di fatto mi sono reso conto che era possibile prelevare informazioni da una parte della mia vita che, considerata superficialmente, non aveva più nulla da offrirmi visto che si ripeteva più o meno sempre uguale da tredici anni. Capito che significa? Per tredici anni due ore della mia vita praticamente non sono state vissute, in quanto completamente scollegate dalla contingenza presente. Due ore per tredici anni sono circa 460 ore (se consideriamo solo gli spostamenti per il lavoro), una ventina di giorni solari! Considerata da un punto di vista statistico mi conviene smettere con questo vizio ed iniziare a fumare.

Terminato il programmato periodo di rinuncia, mi sono finalmente concesso di riaccendere la radio e, con mia sorpresa… mi sono accorto che mi dava fastidio! Le impressioni che ricevevo dal mondo esterno si erano rivelate molto più nutrienti di quelli che arrivavano via etere.

Diciamocelo, non che questa rinuncia rappresenti chissà quale conquista: fra l’altro non voglio affatto schierarmi contro l’uso della radio, sia ben chiaro: qui l’indice è puntato contro le abitudini. Il punto è che questo esperimento ha dimostrato a me stesso di quanto siano spesso falsi i nostri bisogni, e di quante menzogne possiamo raccontarci pur di non sacrificare la quotidianità.

Questa no, non è cosa da poco.

6 pensieri su “L’esperimento della radio

  1. Andrea

    forse più che venti giorni all’anno, fa impressione pensare ai 260 giorni (24/24h) nell’arco di 13 anni, se non ho sbagliato a fare i conti…
    Complimenti 🙂

    Rispondi
      1. Andrea

        🙂
        Allora ne approfitto per aggiungere anche un pensiero che mi perseguita da qualche giorno sempre riguardante il
        bisogno delle abitudini. Tutto okay, se pensiamo alle comodità…
        Quello che mi dà da pensare invece è il bisogno di quelle abitudini invasive che chiamo anche futili
        impegni… Ovviamente la loro futilità è soggettiva. In questo elenco metto cose come andare a vedere
        la partita della propria squadra allo stadio, andare a fare shopping anche quando non si ha bisogno di niente
        guardare la tv anche se non c’è niente di interessante da vedere in quel momento,…
        Continuare a correre perchè fermarsi e ripartire è peggio.
        In questo modo sentiamo meno la fatica e il tempo scorre, senza che neanche ce ne accorgiamo.

        Tornando al blog invece mi viene in mente un’immagine curiosa:
        l’etichetta di una bottiglia di Sprite. Accompagnava un pranzo da un amico, più di dieci anni fa e diceva:
        <Prendi la direzione opposta all’abitudine e quasi sempre farai bene>

        una di quelle massime che mette d’accordo tutti.

      2. Marco Perasso Autore articolo

        Quello delle abitudini e degli automatismi è un tema su cui ritornerò più volte, perché in effetti è come dici tu: sono meccanismi comodi, così insidiosamente comodi che ti fanno buttare via la vita e quando te ne accorgi ormai è troppo tardi (per dirla con Guccini: ‘…e poi ti trovi vecchio e ancor non hai capito che la vita quotidiana ti ha tradito!’). Grazie, non esitare a postare altri contributi in futuro, sono questi che danno senso al blog.

  2. Pingback: L’inevitabile atto di volontà | Fuori dal solco

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