Non sto parlando di quella di Facebook, ma di quella tradizionale, dove sempre tradizionalmente si mettono i trofei; nel collezionarli non ci trovo ovviamente nulla di male: mettere in bella mostra i propri successi fa bene all’autostima, anche se può attirare qualche antipatia o invidia.
Con questo articolo voglio però suggerirti di fare altrettanto con gli insuccessi: potrà sembrare un paradosso, ma se ci pensi bene gli errori possono essere molto utili; quando eseguo alla perfezione un compito, ho fatto qualcosa di positivo nell’ambiente che mi circonda, ma dentro di me poco è cambiato, a parte l’appagante sensazione di aver centrato il bersaglio; anzi, si rafforza in me l’idea che il comportamento adottato sia quello giusto, l’unico giusto: il solco diventa più profondo.
L’errore invece è un maestro, ci evidenzia le lacune, ci offre possibilità di crescita che il successo non dà; al pari del dolore fisico, che in sé è utile in quanto ci segnala situazioni di malfunzionamento, l’insuccesso ci offre la possibilità di migliorarci, a patto che si impari ad osservarlo con occhio neutro e lo si tenga sempre in bella vista.
Ovviamente la tendenza comune è quella di rimuovere lo scivolone dalla nostra memoria, perché non ci piace l’idea di aver sbagliato, e dalla pubblica piazza, perché teniamo al giudizio altrui; ma analizziamo entrambe le questioni, e vediamo quanto solide siano le basi su cui poggiano.
Il disagio che ci porta l’aver commesso uno sbaglio non dipende dall’errore in sé, ma da come noi ci rapportiamo ad esso: razionalmente sappiamo che errare è umano, ma emotivamente tendiamo a confondere i livelli: identifichiamo la nostra persona col comportamento erroneo, arrivando alla conclusione di essere noi stessi ad avere qualcosa di sbagliato. E’ questa confusione di livelli che ci logora e ci fa vivere malamente gli insuccessi: in realtà non siamo noi, in quanto individui, ad essere messi sotto accusa, ma un nostro comportamento; non è la stessa cosa!
Se riusciamo ad essere più impersonali, ad uscire dal problema, possiamo analizzare con distacco quanto è andato storto, e applicare dei correttivi evitando di ricascarci in futuro, il tutto senza sensazioni di malessere. A questa precisazione tengo particolarmente, perché non si confondano i miei suggerimenti con istigazioni al vittimismo: guardare con serenità ai propri errori non può che apportare dei benefici, così come può farlo la lucida individuazione del dente dolorante senza per questo essere dei masochisti.
Non si tratta di vivere in uno stato di perenne autoaccusa, senza mai essere soddisfatti di sé e sottolineando sempre e solo gli aspetti negativi; tutto è questione di misura: semplicemente quando qualcosa va storto bisogna avere il coraggio di capire quel che è accaduto, guardare in faccia il problema senza fronzoli o giustificativi e applicare i dovuti correttivi.
Per quanto riguarda il giudizio altrui, invece, dobbiamo distinguere due casistiche.
Se stiamo parlando di persone intelligenti, non ci si deve preoccupare di nascondere loro un fallimento per paura di perdere posti in graduatoria: prendiamoci pure gioco di noi stessi, scherziamoci sopra, enfatizziamolo quasi: è un ottimo modo per esorcizzarlo, e non potremo che guadagnare punti ai loro occhi.
Se viceversa si tratta di persone che non brillano per acume… beh, in questo caso, perché mai preoccuparsi del loro giudizio?
Eh… Il giudizio degli altri…rode se non e’ positivo inutile dirlo, ma basterebbe non saperlo hehe. E l autoaccusa…. argomenti per me… Io che da sempre mi definisco quella con la “sindrome di Calimero” e quando qualcosa va storto da come volevo ci rimurgino per almeno… Una settimana? Si direi di si… Ci ripenso pure a dustanza di piú tempo. E’ difficile non autoaccusarsi e non sentir qualcosa dentro che “ribolle”
Grazie per il commento Cristina; credo sia solo questione di allenamento e di distacco (non dico di saperlo fare purtroppo): se riuscissimo a vedere il nostro errore come fatto da qualcun altro, le soluzioni o critiche costruttive ci verrebbero in modo più naturale (quello che accade, appunto, con gli errori altrui…) senza bisogno di rodersi e ribollire. Proviamoci.
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